Amici fragili

A te amico fragile, a te amica fragile, stasera scrivo.

Ti ho davanti a me, con i tuoi sorrisi finti o forse solo di passaggio.

Ti ho dentro di me con la tua anima cupa e grondante di un nero che non ho saputo schiarire.

Ora so che non avrei potuto raggiungerti mai, ora so che neppure tu sapevi perché mi cercavi pur capendo che non ci saremmo incontrati mai.

Eppure ci abbiamo provato e ci siamo sorrisi da cuore a cuore più di una volta; a tratti ci siamo davvero voluti bene, molto più di quanto solitamente si osa fare tra medico e paziente.

Ricordo la complicità che ci univa quando mi parlavi di quel ragazzo che corteggiava la tua intatta bellezza e di te invece i pensieri profondi condivisi senza pudore, grati di poterlo fare.

Ricordo la tua bellezza, che la vita aveva elargito con generosità al tuo corpo: una bellezza che pareva un baluardo insuperabile contro il male.

A tratti mi feriva, come un vento freddo e tagliente, la lontananza del tuo cuore che si asserragliava in una fortezza di acciaio gelido e impenetrabile, ma con l’ingenuità del guaritore riprendevo il cammino per incontrarti ancora una volta, ancora un poco.

Che dolore quando mi dicevi con paura del tuo smarrimento! Sentivo la tua angoscia, come quella dei bambini che nelle fiabe si perdono nel bosco, eppure ti vedevo davanti a me e non volevo credere di non poterti trovare più.

Ci siamo accompagnati per lunghi mesi, forse ci siamo anche persi insieme; durante il cammino tu mi parlavi di una notte che io non conoscevo eppure continuavi a parlarne proprio a me perché agli altri non volevi far male.

Chissà se pensavi già che era tutto inutile o se, a tratti, anche tu hai masticato speranza per nutrirti ancora un poco.

Mi hai scosso una prima volta tentando di lasciare questa scena, ma io, ancora cieco e sordo, ho voluto vedere quel gesto come un passaggio verso una nuova vita, come un grido di chi vuole vivere ed amare ancora, malgrado il dolore.

Poi ci hai riprovato ancora…

Ora sei morto amico mio.

Ora sei morta, amica mia.

A me rimangono quelle telefonate imbarazzate fatte con voce rotta da chi ti ha amato e non sa più cosa pensare.

A me rimane il dolore sordo e muto dell’impotenza e di un dialogo che ora rimbomba inutile e beffardo come un eco.

Io non so vivere la tua morte, non so trovare risonanza in me del tuo NO.

Sono del tutto incapace di dargli un senso.

Mi lascio dunque penetrare dal mistero del tuo gesto, permettendo che la mia vita perda il suo pavido orientamento.

Navigherò a vista, sapendo ormai che il mare nasconde segrete lusinghe e abissi profondissimi.

Voi, amici preziosi e fragili, sarete come i fantasmi di antichi corsari, richiamo inquietante ed eterno ad un altrove che non ci potrete mai spiegare, ma solo additare…