“I luoghi hanno un’anima. Il nostro compito è di scoprirla. Esattamente come accade per la persona umana” (James Hillman)
Fin da quando ha iniziato il cammino della Psicoterapia, ho sempre voluto incontrare le persone nello spazio che sentivo intimamente mio, nella casa dove abito e che è permeata del mio vivere.
In ogni casa dove ho vissuto, in ogni luogo in cui ho soggiornato anche solo per poco tempo, ho sempre sentito il bisogno di trovare il “mio” spazio, un luogo dove mi sentissi a mio agio, che mi facesse sentire in armonia con me stesso. Forse si tratta di quel luogo che don Juan indica al giovane Castaneda, quando lo invita a cercare nella casa fino a quando non si sente a suo agio per davvero (“A scuola dallo stregone” di Carlos Castaneda).
Certamente sono convinto che lo spazio non sia una dimensione neutra per l’incontro, così come il tempo che ci si dedica l’un l’altro. Poco importa che la psicanalisi abbia definito questi parametri come “Setting”: tale definizione ha solamente sottolineato il bisogno di collocare l’incontro psicanalitico in un contesto definito, tale da poter essere controllato da entrambi e che permetta così di distinguere precisamente l’incontro vissuto in seduta dalla vita vissuta fuori dal Setting. Definire un luogo ed un tempo come riferimenti oggettivi sono stati funzionali a trasformare la stanza della psicanalisi in un contesto più consono alle aspirazioni scientifiche dell’ideatore della Psicanalisi; poi il Setting è diventato uno strumento tecnico per dialogare con l’inconscio del paziente.
Se però si intende la psicoterapia come un incontro privilegiato con l’altro, se si lascia cadere la pretesa di “interpretare” l’altro, se ci si pone di fronte come due persone e non come medico e paziente, allora bisogna recuperare le riflessioni sul Tempo e sullo Spazio che ci ha portato il pensiero Fenomenologico (Husserl, Heidegger, Binswanger). In questa prospettiva il Tempo e lo Spazio diventano le dimensioni esistenziali in cui si gioca la nostra possibilità di Esserci, diventano le direttrici lungo le quali si muove l’incontro autentico con l’altro.
Il diaologo con Silvia Montefoschi ha in me vivificato e radicalizzato tali tematiche. Mi risuona familiare una sua frase: “Il terapeuta è colui che fa di ogni relazione il luogo e il momento di quella conoscenza trasformativa che crea la nuova vita; (…) sicché la funzione terapeutica è inerente alla sua stessa esistenza.” Non mi stupisco quindi se mi trovo da sempre a vivere l’esperienza psicoterapeutica in uno spazio intriso di intimità, portatore dell’energia tipica della “casa”.
Moltissime volte sento lamentele rispetto ad incontri che vorrebbero essere terapeutici negli spazi ambulatoriali del Servizio pubblico di Psichiatria o, peggio ancora, rispetto allo spazio destrutturato dei Reparti psichiatrici (SPDC). Purtroppo la disciplina medica che dovrebbe essere più attenta agli aspetti relazionali, si ritrova quasi immancabilmente ad operare in spazi deteriorati, svuotati di vita, con tempi di incontro del tutto privi di sintonia con il bisogno dell’altro. Lo spazio privato, a mio avviso, ha il dovere di ricostruire spazi e tempi che siano sintonici con la vita e con la relazione, altrimenti fallisce uno dei suoi compiti principali.
Dopo vent’anni di attività in case affittate, e poi adattate il meglio possibile ai fini della psicoterapia, finalmente ho avuto la possibilità di acquistare una casa a Fossano (CN) dove allestire uno spazio che mi faccia sentire vivo e connesso. Voglio sperare che tale spazio possa diventare il luogo dove anche l’anima di chi vorrà incontrami possa sentirsi accolta e rispettata, nel proprio desiderio di vivere e di evolvere.
Illustrazione gentilmente concessa da Daniele Serra; foto proprie.