Meditazione

monaco

Il respiro si allinea sia col corpo che con la mente.
E' il solo strumento che li può unire,
illuminandoli entrambi e generando pace e calma.

Nel mio percorso individuale Psicoterapia e Meditazione hanno seguito fino ad un certo punto strade parallele ed indipendenti.
Entrambe hanno comunque concorso a sospingermi in avanti, un passo dopo l’altro. Ad un certo punto è stato naturale farle convergere e cercare un’esplicita collaborazione fra questi due metodi di ricerca.
Spesso nel corso di una psicoterapia mi sono sentito chiedere: “Ora che ho capito da dove nasce il mio disagio, cosa posso fare per cambiare?”
Effettivamente la psicoterapia rischia di risolversi in un’indagine mentale, che chiarisce ma non risolve.

Tale intoppo ha trovato una risposta, come si può leggere nella sezione “Psicoterapia”, nel riconoscere che l’esperienza psicoterapeutica deve farsi radicalmente incontro tra i due della relazione e lì sciogliere le radici della sofferenza, come hanno testimoniato la vita ed il pensiero di Silvia Montefoschi.

La Meditazione si è ben presto proposta come ultreriore risposta a quella domanda.
Meditare è un modo molto concreto di porsi di fronte a se stessi, lasciando emergere le proprie paure e le proprie insicurezze, ma senza mai perdere la centratura e la presenza.
Il proprio respiro e la lucida coscienza di sé e del Mondo diventano ancoraggi solidi, che ci permettono di attraversare le burrasche così come di tollerare i tempi statici della bonaccia.
La nostra cultura occidentale ci ha addestrati a cercare sempre ed immediatamente un qualche modo di agire per superare risolvere un problema: abbiamo sviluppato una mente operativa.
La psicanalisi ha cominciato a svelare un modo diverso di funzionamento della psiche, ci ha parlato di una parte di noi inconscia eppure efficace. Con Jung l’Inconscio ha assunto una dimensione sempre più positiva: non più ricettacolo di pulsioni inaccettabili o di desideri rimossi, ma vero luogo di incontro con la nostra essenza divina, comunque transpersonale.
In questa nuova visione l’essere umano cessa di essere un “Homo faber” e inizia a cercare nella dimensione simbolica ed immaginifica dell’Inconscio una guida per il cammino che in lui si snoda. Alla luce di queste nuove visioni i concetti orientali di “non-azione” o di “non-pensiero”, così come il frequente richiamo alla necessità del “Vuoto”, cominciano a trovare un senso.
La Meditazione, da questo punto di vista, può diventare proprio un allenamento a stare nel Vuoto e a “lasciare andare”, affidandosi al quel processo evolutivo che potentemente ci attraversa e che l’indagine psicoterapeutica riesce talvolta a mostrare.

Potremmo dire che Psicoterapia e Meditazione possono concorrere a liberare la persona dall’illusione di vivere in una dimensione puramente individuale. Finchè si percepisce il sintomo solo come segnale di un malfunzionamento individuale e non si riesce a coglierne la portata relazionale e universale, si è condannati ad una sofferenza muta e destinata unicamente ad alimentare l’immagine di sé come “malato” e della propria vita come “malattia”.
Aprirsi invece ad una prospettiva più ampia in cui ci si riesce ad osservare come fossimo Testimoni di noi stessi, con uno sguardo vasto che non si focalizza, ma riesce a percepire l’insieme del divenire, questo può essere il frutto della co-riflessione psicoterapeutica e della pratica meditativa. I mezzi sono diversi, ma il fine è lo stesso.

In un testo del 1936, “Lo Yoga e l’Occidente” C.G.Jung parlava della pratica yogica in occidente e sottolineava una sua preoccupazione: l’uomo occidentale, con la sua visione dualistica, incapace di vivere armoniosamente le dimesioni somatica e psichica, non può che travisare gli insegnamenti dello Yoga. Egli afferma: “Questo conflitto esiste unicamente in virtù della scissione storica dello spirito europeo. Se non esistessero da una parte una coercizione, psicologicamente innaturale, a credere, e dall’altra una fede altrettanto innaturale nelle scienze, questo conflitto non avrebbe motivo di essere.”
Egli raccomandava quindi un lavoro profondo per permettere all’Inconscio di esprimersi, tramite la psicanalisi: “Dato che l’Occidente è capace di trasformare ogni cosa in tecnica, in linea di principio tutto quello che ha l’aspetto di metodo è pericoloso e condannato al fallimento. In quanto pratica igienica, lo yoga è utile all’occidentale quanto qualsiasi altro sistema, ma nel senso più profondo non è questo che vuol essere. Vuole molto di più, cioè, se ben lo comprendo, vuole il distacco e la liberazione definitiva della coscienza da qualunque dominio da parte dell’oggetto e del soggetto. Dato però che non ci si può separare da quello di cui non si è consapevoli, l’europeo deve per prima cosa conoscere il suo soggetto, cioè quello che in Occidente è chiamato l’inconscio.”
Da questo punto di vista, quindi, è la psicoterapia che svolge una funzione di preparazione e di supporto ad un cammino meditativo.
Di fatto si incontrano ormai con una certa frequenza persone che cercano di risolvere i propri conflitti psichici, siano essi nevrotici che psicotici, affidandosi ad un percorso spirituale: tale approccio non è scevro da grandi rischi in quanto l’evoluzione individuale abbisogna di gradualità e non si possono saltare impunemente certi passaggi senza pagarne uno scotto anche severo.
C’è un corpo da contattare e da liberare dai propri blocchi, c’è un mondo emotivo che ha bisogno di essere esplorato e conosciuto, c’è una mente carica di condizionamenti e capace dei più grandi inaganni che va purificata ed addestrata, c’è anche il dialogo fra le diverse parti di noi che non è mai agevole. Solo al termine di questo lungo lavoro il nostro essere si può aprire allo Spirito.
La dimensione spirituale, come anelito a trascendere i propri limiti e la propria mortalità, appartiene indubbiamente all’Umano, ma è un punto di arrivo, non una scorciatoia.

Queste tematiche convergono tutte verso un approccio psicologico maturato attorno agli anni ’60 quando il campo della psicologia era conteso fra teorici della Psicanalisi, che utilizzavano un approccio introspettivo, e teorici del Comportamentismo, che negavano la possibilità di studiare la mente in quanto fenomeno, limitandosi ad osservare i comportamenti. Grazie alle posizioni di Abraham Maslow ha cominciato a svilupparsi quella che poi si chiamerà Psicologia Umanistica.
La critica ai precedenti approcci è radicale: studiando solo situazioni patologiche, afferma Maslow, non si ha modo di conoscere gli stadi evolutivi della mente umana. Noi umani non ci accontentiamo della sanità mentale, ma abbiamo un bisogno fondamentale di realizzare le nostre potenzialità.
Maslow descrisse quella che ancora oggi viene chiamata la Piramide dei bisogni, per indicare che data risposta ad un bisogno basico subentra un bisogno più evoluto, fino al bisogno di autorealizzazione.
Lo stesso autore si dedicò a studiare fenomeni mentali quali le esperienze mistiche chiamate “Esperienze di picco”, considerandoli vertici di un cammino che punta ben oltre i confini individuali.
Queste idee ben si armonizzavano con i concetti di Sé e di Inconscio collettivo espressi da C.G.Jung e soprattutto con quella che lo psicanalista svizzero chiamava la Funzione trascendente, ossia una funzione psichica che porta l’individuo a contatto con le immagini numinose del Divino, a contatto col Sacro.
Sarà poi Ken Wilber a sistematizzare la visione che oggi viene chiamata Psicologia Transpersonale. In essa trovano ordine i vari passaggi che segnano il cammino umano dalla dimensione Pre-egoica del bambino ancora incapace di differenziarsi, attraverso la definizione di un Ego adulto ben strutturato e fino ad un nuovo “dissolversi” dell’Ego nella dimensione Trans-personale.
La coscienza umana si definisce tracciando confini successivi. Dapprima l’Io si distingue dal Non-Io, cioè dal Mondo; poi l’Io si scinde al suo interno fra un Corpo ed una Mente, identificandosi con la mente ed infine la Mente di scinde a sua volta in una Persona (la parte di noi che proponiamo socialmente) ed un’Ombra (la parte inaccettabile di noi che tendiamo a rifiutare e a proiettare al di fuori). Il cammino evolutivo dovrà, a ritroso, ricomporre il dissidio fra Persona e Ombra, poi ritrovare armonia e unità tra Mente e Corpo per giungere, infine, a poter riconoscere la sostanziale unità del tutto, superando così la radicale paura della Morte.
Gli strumenti psicoterapeutici potranno accompagnare e favorire i primi processi integrativi, ma l’ultimo passaggio abbisogna di un accesso alla dimensione spirituale.

Spero così di aver dato qualche spunto per comprendere come Psicoterapia e Meditazione siano due modalità, due veicoli di cambiamento e di evoluzione, utilmente integrabili.
Per chi desiderasse approfondire segnalo il link sottostante dove si potrà leggere un interessante contributo di Monica Bregola (Psiologa e Counselor – Scuola di Psicosintesi) sui rapporti fra Meditazione e processo di guarigione.
http://www.esonet.org/index.php/articoli-2/24-articoli-psicologia-esoterica/1094-la-meditazione-e-il-processo-della-guarigione

Vi sono poi numerosissime pubblicazioni scientifiche a sostegno del beneficio, che può derivare da una pratica meditativa costante.
In particolare la antica tecnica meditativa Vipassana, trasmessa all’interno della tradizione buddhista Theravada, è stata studiata e trasformata in un training di tipo cognitivo la “Mindfullness-Based Stress Reduction” (MBRS) dal dott. Jon Kabat-Zinn presso l’Università del Massachusetts.

Su questo tipo di trattamento si sono concentrati migliaia di studi da parte di psicologi e di neuroscienziati, producendo in pochi anni una mole impressionante di dati a sostegno dell’efficacia e dell’assenza di effetti collaterali della Mindfullnes.
Per chi desidera approfondire questo tipo di validazione scientifica della pratica meditativa, segnalo il successivo link, dove il dott. Nitamo Federico Montecucco, fornisce una esaustiva ricerca bibliografica, all’interno di un progetto promosso dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali per l’anno 2014.
http://www.benessereglobale.org/benessere_globale.php?id=prove